martedì 20 dicembre 2011

VIDEO - L'ultimo dribbling in pigiama: la fuga finisce in garage. Ecco le immagini


Come in un film. L’arresto di Cristiano Doni sembra una sceneggiatura di Hollywood: l’arrivo dei poliziotti all’alba, il campanello suonato all’infinito, la porta che si apre, la paura negli occhi del campione, il disperato tentativo di fuga, il placcaggio. Sono le cinque e mezza quando il capitano dell’Atalanta si ritrova dentro una volante: destinazione carcere di Cremona.Ha provato un ultimo dribbling, cercando di sottrarsi all’ordinanza di custodia cautelare emessa dai giudici. Un gesto istintivo, ma è la fotografia di una storia che per usare le parole del procuratore Di Martino «è solo all’inizio».

Il blitz Tutto era stato studiato nei minimi particolari: la villetta alla periferia di Bergamo (Torre Boldone) era stata messa sotto controllo da ore. Doni aveva lasciato una casa in centro per trasferirsi in periferia. Con lui moglie e la figlia Giulia, 8 anni, che quasi ogni giorno accompagnava a scuola. Anche ieri il programma prevedeva questa routine, ma alle 5 di un gelido lunedì le cose cambiano. Il giocatore è svegliato all’improvviso: qualcuno bussa con insistenza. In pigiama si avvicina all’ingresso dove c’è l’albero di Natale, sussurra spaventato «Chi è?». Risposta secca: «Apra, polizia». Un ordine al quale obbedisce. In un attimo la villetta è invasa da poliziotti che iniziano a perquisire la casa. «Che succede, che succede? ». Prova ad abbozzare il calciatore. «E’ in arresto...». A quel punto sembra tutto finito. Doni è turbato, ma agli investigatori sembra tranquillo. «Si vesta, ci deve seguire», gli intimano. E lui lo fa. Gli chiedono di un computer: «Non ne ho». Sta mentendo, nella cassaforte gli agenti scoveranno proprio il pc incriminato. Ma il clou deve ancora arrivare. Accade tutto in un secondo: il giocatore secondo fonti investigative approfitta della confusione e cerca di raggiungere dalle scale interne il garage dove è posteggiata la macchina. Per i poliziotti è un chiaro tentativo di fuga. Senza esito: reazione immediata, il giocatore è bloccato e portato dentro la volante. E’ ancora buio quando inizia il viaggio verso Cremona.

Isolamento Da ieri il capitano è chiuso in cella, isolato. Nessun contatto con l’esterno per 5 giorni. Neppure con il suo avvocato Salvatore Pino. E’ chiaro l’intento dei giudici: le prove sono schiaccianti, solo un cambio di atteggiamento e una collaborazione potrà alleggerirne la posizione. E’ anche dell’entourage di Doni filtra pessimismo. Del resto le intercettazioni questa volte ci sono. E fa un certo effetto sentire Cristiano chiedere al suo amico Santoni «Fantozzi è lei?» e poi passare al falsetto per camuffare le voci. Tutto accadeva a scandalo già esploso, quando il giocatore era indignato con la giustizia sportiva per la squalifica a 3 anni e 6 mesi. Il Doni pubblico si allenava, mentre dall’ordinanza scopriamo un Doni privato che era in possesso di una scheda romena, cercava di inquinare le prove manomettendo (una operazione da Mission impossible) l’iPhone di Santoni messo sotto sequestro. Il gip Salvini spiega: «interferiva sul risultato delle gare anche per conto dell’Atalanta, agendo in nome di imprecisati dirigenti e utilizzando il supporto del gruppo di Cervia». Tutto finalizzato a far soldi con le scommesse. E nell’ordinanza si scopre anche che l’ex capitano pagava l’avvocato di Santoni (Benfenati, fratello di uno degli arrestati): temeva un possibile tradimento. Temeva di essere scoperto. Da ieri il timore è certezza.

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